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Ebraismo e cristianesimo. Centro e diaspora

L'articolo che segue vuol essere una riflessione sull'argomento degli evangelici che sostengono Israele. I termini ebraismo e cristianesimo, che in nessun caso hanno valore teologico ma solo indicativo di realtà sociali, qui sono usati in modo approssimativo e tecnico al solo fine di inquadrare un tema ed esporre una tesi che vuol essere soltanto uno stimolo alla riflessione.

di Marcello Cicchese

L'ebraismo ruota intorno a un centro territoriale: Gerusalemme (Salmo 137:5). Al centro di questo centro si trova il Tempio, la casa dell'Eterno (Salmo 122:1).
  Il Messia Gesù "è venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto" (Giovanni 1:11), ma prima di lasciare questa terra ha detto: "Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, fino al giorno in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!" (Luca 13:35).
  Dopo la sua risurrezione Gesù fu assunto in cielo, e subito dopo la sua ascesa si presentarono alla folla radunata due uomini in vesti bianche che rivolsero loro queste parole: "Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo" (Atti 1:11).
  Quaranta giorni dopo scese sui discepoli lo Spirito Santo promesso da Gesù, e al popolo radunato l'apostolo Pietro rivolse queste parole: «Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Perché per voi è la promessa, per i vostri figli, e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signore, nostro Dio, ne chiamerà» (Atti 1:38-39).
  Tremila persone scesero nelle acque del battesimo in quell'occasione e altre se ne aggiunsero in seguito fino ad arrivare a cinquemila. Nacque a questo punto il primo nucleo di ciò che poi si chiamerà "chiesa", ma che allora poteva considerarsi soltanto come un movimento interno al popolo ebraico che annunciava di credere in Gesù come il Messia promesso a Israele. Chiameremo "gruppo messianico" questa particolare sottosocietà della nazione israelitica di quel tempo.
  Le autorità ebraiche si opposero a questo movimento, e dopo aver respinto Gesù come Messia respinsero anche, con fatale coerenza, i discepoli che proclamavano la risurrezione del Messia Gesù.
  Dopo qualche tempo, con sorpresa, i messianici s'accorsero che lo Spirito Santo promesso da Gesù cadeva anche all'esterno di Israele, perché molti gentili manifestarono di credere in Gesù come loro Signore e Salvatore e vollero essere battezzati. Il gruppo messianico dunque si allargò ai gentili, ma non per questo intendeva uscire dall'ambito del popolo ebraico. La conversione dei gentili non era intesa come un movimento di Israele verso l'esterno, ma, al contrario, come un'attrazione che l'esterno gentile provava verso Israele. I gentili che arrivavano a credere in Gesù manifestavano, con il loro stesso atto di fede, la volontà di porsi in relazione con Israele; ed era una relazione che in un primo tempo non poteva che essere di subordine, perché i credenti nel Messia d'Israele che provenivano dal paganesimo avevano bisogno di essere istruiti su tutto ciò che riguardava le Scritture e le tradizioni ebraiche. E gli istruttori non potevano che essere i messianici ebrei. Dunque "prima il giudeo e poi il greco", come dirà in seguito l'apostolo Paolo (Romani 1:17).

 Israele perde il centro
  
La presa di Gerusalemme e la distruzione del Tempio furono un trauma tremendo per la nazione israelitica, e quindi anche per il gruppo messianico. I messianici però erano stati avvertiti da Gesù: "Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina" (Luca 21:20). Credettero a quella parola, e quando videro che cominciava a formarsi l'assedio, prima che fosse troppo tardi lasciarono la città e si rifugiarono a Pella.
  Con la caduta di Gerusalemme, la distruzione del Tempio e la successiva repressione della rivolta di Bar Kokhba nel 135 d.C., il popolo ebraico perse il suo centro, cioè la casa dell'Eterno in mezzo a Gerusalemme.
  Di conseguenza, anche il gruppo messianico perse il suo centro territoriale, perché credere in Gesù come Messia d'Israele e ottenere il beneficio del perdono dei peccati e la promessa di vita eterna non li esimeva dal considerare Gerusalemme il centro del mondo, il luogo in cui Gesù era vissuto, morto, risuscitato e in cui avrebbe posato i suoi piedi al suo ritorno.
  Ma quello che l'imperatore Adriano voleva, era proprio far perdere a Gerusalemme il posto di centro del popolo ebraico; quindi ne cambiò il nome in Aelia Capitolina e proibì agli ebrei di abitarvi.
  Da quel momento la diaspora ebraica, cominciata con la caduta del primo Tempio ma mitigata fino ad allora dalla presenza di Gerusalemme come centro di riferimento storico-politico dell'ebraismo, diventò spazialmente di dimensioni mondiali e temporalmente di dimensioni che finirono per essere considerate eterne: Gerusalemme ebraica non esiste più, né mai più ci sarà. Resta solo come aspirazione ideale, come rimpianto eterno che favorisce il raccogliersi del popolo ebraico intorno al nuovo centro: la Torà. Non più storia, ma istruzione; non più politica, ma devozione. L'ebraismo perde il centro politico territoriale e va in diaspora a tempo indeterminato.
  Il gruppo messianico, nato originariamente come sottosocietà di Israele apertasi in seguito all'ingresso dei gentili, entrò anche lui in diaspora, nel senso che perse il naturale collegamento che aveva avuto con Gerusalemme, centro originario della diffusione del Vangelo. Il suo distacco però fu meno traumatico, perché il suo centro adesso era in cielo, nel Messia Gesù che siede alla destra di Dio (Matteo 22:44). Lo Spirito Santo diffuso tra i discepoli e presente individualmente in tutti coloro che di vero cuore si erano ravveduti e avevano creduto in Gesù Messia, sosteneva questa fede.

 La corruzione del cristianesimo era stata prevista
  Com'è potuto accadere allora che quel piccolo gruppo messianico uscito dal costato del popolo ebraico abbia potuto trasformarsi nei secoli in un impero religioso-politico mondiale con centro in Roma? Alcuni spiegano la cosa parlando di corruzione del cristianesimo primitivo, aspirando romanticamente ad un "ritorno alle origini". Chi parla così però non tiene conto che nel Nuovo Testamento è già predetta la corruzione del cristianesimo storico, perché in esso sono presenti fin dall'inizio i semi del falso vangelo seminati dall'Avversario. Gesù l'aveva detto:
  "Egli propose loro un'altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand'è cresciuto, è maggiore dei legumi e diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami»" (Matteo 13:31-32).
  Questa parabola fa parte delle sette cosiddette "parabole del regno", che da molti sono interpretate in senso positivo, come preannuncio di un cristianesimo vincente che si espande e trionfa. E' vero il contrario: sono parabole che preannunciano uno sviluppo abnorme e corrotto prodotto dal seme della Parola di Dio in un terreno che l'ha ricevuto ma ne ha usato la potenza a fini di dominio. E' vero che il cristianesimo, come fenomeno storico-politico, col passare del tempo si estenderà nel mondo, perché la potenza redentrice del Vangelo non può essere arrestata, ma il suo successo politico spingerà gli uccelli del cielo della parabola (simboli demoniaci che nella parabola delle zizzanie portano via subito il seme del Vangelo dal cuore di chi lo riceve) ad annidarsi tra i rami dell'albero e a trarne sordidi vantaggi. Ed è quello che è successo.

 Il cristianesimo corrotto si accentra
  Dopo la distruzione del Tempio e la sparizione di Gerusalemme come centro della nazione ebraica, il gruppo che adesso possiamo chiamare "messianico-cristiano" per la sua costituzione etnicamente mista, avrebbe dovuto rimanere sempre in diaspora, come Israele e, nei limiti del possibile, insieme a Israele. La diaspora, che per gli ebrei è un giudizio, per i discepoli di Gesù è una vocazione: "E disse loro: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura" (Marco 16:15).
  Ma questo non è avvenuto, e l'ex gruppo messianico trasformatosi in quell'istituzione politica chiamata "Chiesa", dopo aver raggiunto una sufficiente distanza non solo da Israele ma anche dall'originario messaggio di Gesù, sentì il bisogno di avere un centro politico territoriale che ne esprimesse il carattere imperiale, consono alla sua pretesa missione. Questo centro naturalmente non poteva essere Gerusalemme, troppo vicina alla storia degli ebrei e, soprattutto, troppo vicina al Gesù del Vangelo da cui aveva preso le distanze. Al momento opportuno si presentò l'occasione adatta: l'impero romano in dissoluzione. Così la Chiesa istituzionale, invece di disperdersi tra le genti assegnò a Roma il posto di centro della cristianità e di tutto il mondo.
  La predicazione del Vangelo, che avrebbe dovuto continuare ad avvenire in diaspora, si alterò al punto da far pensare che il compito dei discepoli di Gesù fosse quello di lavorare alla costruzione e allo sviluppo del "centro", da cui avrebbe dovuto irradiarsi in tutto il mondo la civiltà cristiana ben organizzata in tutte le sue stratificazioni. E naturalmente al centro di questo centro avrebbe dovuto esserci "Uno" che rappresentasse nella sua persona il Sovrano temporaneamente assente. Lo chiameranno "Papa", e ce n'è ancora uno in circolazione.

 Le parole del Vangelo portano frutto in diaspora
  Tuttavia, nonostante le zizzanie seminate dall'Avversario nel campo del mondo affinché le piante cattive si mescolassero con quelle buone, il seme della parola del Vangelo ha continuato ad essere accolto dagli uomini, e dove ciò è davvero avvenuto non sono sorte imponenti basiliche, e duomi, e cattedrali, e monasteri, ma sono spuntati gruppi più o meno grandi di persone che si sono ritrovate insieme "nel nome di Gesù". In certi tempi e in certi luoghi questo potrebbe essere avvenuto anche all'ombra di qualche duomo, ma in ogni caso non era il duomo ad essere importante, ma le persone che si radunavano nel nome di Gesù. Perché Gesù l'aveva detto: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Matteo 18:20). Come si vede, le cattedrali a questo scopo non servono.
  Abbiamo cominciato col dire che l'ebraismo ha un centro territoriale: Gerusalemme. Adesso aggiungiamo che il cristianesimo autentico non ne ha. Non avrebbe mai dovuto esistere un centro cristiano territoriale, ad imitazione e in sostituzione del centro ebraico. I discepoli di Gesù sono chiamati a vivere in diaspora, come sono stati gli ebrei per tanti secoli, anche se in forma e posizione diverse. Storicamente è avvenuto che l'ebraismo ha perso il centro e il cristianesimo se ne è costruito uno. Il "cristianesimo accentrato" è espresso in forma esemplare dalla CCR (Chiesa Cattolica Romana), che ben rappresenta l'albero della parabola in cui si vengono a rifugiare farabutti di ogni tipo, come agevolmente si può vedere anche in questi giorni.
  Quanto agli evangelici, certamente anche tra di loro si trova di tutto, nel bene e nel male, ma la loro posizione nel mondo è fondamentalmente diversa da quella cattolica. Le dottrine e i comportamenti possono essere diversi, ma non esiste né si ricerca un centro territoriale. E' un "cristianesimo diasporico" che ha un solo Centro: Gesù, che ora siede in cielo alla destra di Dio, è presente in mezzo ai suoi nella persona dello Spirito Santo, e un giorno tornerà sulla terra per completare la sua missione. E quando ciò avverrà, al centro del mondo ci sarà Israele, con capitale Gerusalemme, non lo Stato del Vaticano, con al centro la Basilica di San Pietro.

 Il cristianesimo accentrato si disgrega; il cristianesimo diasporico si rinforza
  Due cose sono indubbiamente nuove nel cristianesimo dei nostri tempi. La prima è che oggi il cristianesimo accentrato sta perdendo i pezzi: in molte parti del mondo le chiese si svuotano, si chiudono, si affittano, si danno in comodato, si vendono agli islamici, e così via. Ma non c'è da piangere: il cristianesimo accentrato e trionfante non ha futuro. Ed è bene che sia così.
  La seconda è che oggi nel cristianesimo diasporico, che invece continua ad espandersi in forma non registrata dai media, si è destato in qualche sua parte uno "strano", imprevedibile amore per Israele. Si possono dare varie spiegazioni del fenomeno; molte sono maliziose, e mentre chi le fa pensa di rivelare basse ragioni in chi viene indicato, in realtà quello che si rivela è la bassezza di chi indica. Qui se ne propone una, che non ha la pretesa di essere "la" spiegazione, ma si offre alla riflessione di chi è interessato:
    l'interesse e l'amore per Israele che spunta oggi nel cristianesimo diasporico è nostalgia e attrazione per quel centro territoriale che appartiene al popolo ebraico, nel passato è stato perso, ed ora si sta ricostituendo intorno al popolo e allo Stato di Israele.
Abbiamo già detto che per gli evangelici il centro è Gesù che siede alla destra del Padre, ma si sa anche che un giorno Gesù tornerà sulla terra e "i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi, che sta di fronte a Gerusalemme, a oriente" (Zaccaria 14:4). Con la costituzione dello Stato ebraico è avvenuto il più grande miracolo degli ultimi due secoli. Un miracolo storico, diluito in decenni e tuttora in esecuzione: il popolo ebraico è tornato sulla sua terra, l'ha fatta rifiorire, la difende. E questo è potuto avvenire perché Colui che siede alla destra del Padre l'ha desiderato. Gesù aspetta il giorno in cui il suo popolo gli dirà: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore". E questo avverrà in Israele, a Gerusalemme. E se Gesù guarda con amore e desiderio a questo luogo e a questo popolo, i discepoli che lo seguono condividono con Lui il suo stesso amore e desiderio.

(Notizie su Israele)